Immaginate la scena. 5 viaggiatori. Tutti italiani. Tutti che si sarebbero indignati se li aveste chiamati “turisti”. Seduti insieme ad un tavolino. Alle 11 di sera. In un posto dove già da un’ora la corrente elettrica era andata via. La luce della luna e delle stelle. Il tavolino pieno di birre e bottiglie. Era la prima volta che si incontravano, forse anche l’ultima, ma la conversazione girava intorno al solito tema: i viaggi.
Luoghi, storie persone si sovrapponevano e incrociavano. L’Africa, l’Asia e l’America. L’Europa no, troppo scontata. I luoghi che si mischiavano. La sorpresa di scoprire di aver visto gli stessi luoghi in tempi diversi. Intorno, il rumore del mare che ricordava di stare su un’isola dall’altra parte del mondo. L’anno non me lo ricordo, erano le vacanze estive. Forse 10 o 12 anni fa. Ero sull’Isola di Bunaken. Nord del Sulawesi. Indonesia.
Tutti e 5 lì, per lo stesso motivo e con la stessa scusa. Il motivo era che quell’anno, sulla Lonely Planet dell’Indonesia, Bunaken era l’ultima pagina di oltre 500 pagine. Sembrava il posto più sperduto. La scusa era lo snorkeling. Tutti e 5 delusi dal trovare altri italiani in un posto così lontano. Tutti e 5 felici di ritrovarsi così italiani alle 11 di sera, davanti ad una birra.
Poi una domanda, come un colpo di fucile. Inattesa e divertente, che da allora mi gira nella testa: “Qual è stato il posto più lontano dove siete stati?”
La traccia era chiara. A turno lo svolgimento di ciascuno. Pochi secondi per piegare il foglio protocollo e via, iniziavano i temi di ciascuno. La filosofica battaglia sul concetto di distanza. Se il tempo o lo spazio fossero la giusta misura. Lo spazio curvo che abbraccia il tempo. Poi la dimensione dello spirito. Le emozioni: quando la paura ci ha fatto sentire persi, lontani. La lontananza come distanza dagli affetti, dalle certezze, dagli altri o – peggio – da se stessi. L’alcol che a tratti aiutava e a tratti rendeva più difficile il pensiero.
Qual è stato il posto più lontano dove sono stato?
Per quanto mi sforzi di ricordare non mi ricordo cosa risposi. O se risposi qualcosa. O forse – semplicemente – nulla che meriti di essere ricordato. Mi ricordo qualche brandello di risposta altrui. Mi ricordo la descrizione della paura e della lontananza di una crisi malarica nell’Africa nera.
Oggi, forse, saprei rispondere.
Quando vedo le immagini delle persone che perdono la vita in mare, nel tentativo di venire in Italia, in Europa. Quando vedo quelle immagini e dopo sento o leggo i commenti di chi dice che è felice che siano morti o chi dice che non dovremmo aiutarli.
In quei momenti mi sento solo, lontano. Distante e perso. In un mondo ostile, spaventoso. Che non ho alcuna voglia di scoprire o affrontare. Ho paura di tutto questo odio. E mi sento lontano. Così lontano che non so se riesco a tornare.