Il termine paradosso è composto da Parà (contro) e Doxa (opinione). Si riferiva – originariamente – ad un’affermazione contraria alle opinioni universalmente accettate come vere.
In psicologia il termine “paradosso” è associato all’approccio sistemico-relazionale e alla Scuola di Palo Alto. Assolutamente da leggere per ogni psicologo è il libro “Paradosso e controparadosso” della Scuola di Milano.
Banalizzando, per i sistemici: la comunicazione “paradossale” porterebbe a una condizione di “doppio legame” in cui entrambe le verità contenute nella comunicazione legherebbero l’individuo nella sua azione.
Watzlawick, nei suoi bellissimi libri, ha riportato molti esempi tratti dalla vita di tutti i giorni di comunicazioni paradossali.
Ad esempio, un soldato utilizzato come barbiere in una caserma riceve l’ordine dal proprio capitano: “Radere in giornata tutti i soldati della compagnia che non si radono da soli! E solo quelli!” Il soldato-barbiere si ritrova in una situazione paradossale: “Come mi regolo con me stesso?!”
Situazione risolvibile per una persona flessibile, irrisolvibile per una persona rigida. La vita organizzativa ci abitua a condizioni paradossali di comunicazione. Tutti i giorni!
Una condizione paradossale che oggi mi diverte molto e quella di un mio amico, una persona molto intelligente che nella stessa giornata, in due conversazioni diverse ha sostenuto:
A) “Gli scudetti della Juventus sono 31 e non 29, gli scudetti si vincono sul campo e non nei tribunali”
B) “Berlusconi deve rispettare le decisioni dei giudici. Non si può mancare di rispetto alla magistratura”
Il mio amico fa il tifo per la Juventus (ed è anti-interista). Il mio amico è del PD (ed è anti-berlusconiano).
Per il mio amico tutto è coerente. Non c’è nessun paradosso ma Watzlawick gli dedicherebbe un capitolo: “Il paradosso dello Juventino del PD”.
Mi piacerebbe leggere le conclusioni del capitolo. Vorrei sapere cosa rispondere alle persone impantanate in questi paradossi. Ne vedo tante, proprio tante.