Ho ascoltato sempre con grande attenzione, sia dal vivo sia in TV l’ex presidente dell’ISTAT e attuale Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali: il Prof. Enrico Giovannini.
Negli anni ha avuto modo, ricoprendo diversi e numerosi incarichi, di osservare il Mercato del Lavoro da molte prospettive diverse. Per questo motivo mi aspettavo delle proposte in grado di cambiare in modo significativo il Mercato del Lavoro italiano, che versa ormai in condizioni gravissime.
Leggo invece che tra le proposte ci sia quella di introdurre la “staffetta tra anziani e giovani”.
La staffetta funziona in questo modo, negli ultimi 5 anni prima del pensionamento (o meno, su questo non ho capito quale sia il periodo), il lavoratore può scegliere una formula simile al part-time (circa ½ tempo e circa ½ retribuzione) e questo consente all’azienda – con il supporto di un finanziamento pubblico che copre la parte contributiva mancante – di assumere un giovane (under 35).
In breve, i motivi della mia contrarietà:
Questa formula esisteva già nella riforma di Treu di 12 anni fa e riguardava lavoratori a tre anni dalla pensione, per i quali l’azienda ricevevano uno sgravio sui pagamenti contributivi, a patto che assumessero un giovane under 32 per il periodo di tempo di lavoro a cui rinunciava l’anziano. Non credo che questa formula abbia dato risultati particolarmente brillanti. Dico credo perché non ho mai visto studi o monitoraggi su questo aspetto. So che adesso è in sperimentazione in Lombardia da pochi messi, aspetterei di vedere qualche risultato.
La “staffetta” non genera nuovi posti di lavoro. Perché tende a ripristinare un saldo in pareggio. Per ogni lavoratore che esce uno ne entra, i posti di lavoro restano invariati. Inoltre, nel periodo di “sovrapposizione”, che dura solo un limitato numero di anni, il numero degli occupati è “+1” ma il numero delle ore lavorate potrebbe passare da un saldo (a seconda della formula che sarà scelta) pari a 0 (due part time fanno un lavoratore) a +50% (un part time e un lavoratore full time).
L’attuale problema del nostro mercato del lavoro, come ho scritto anche in un mio post precedente (http://andrea.laudadio.it/?p=23), non è quello di favorire l’entrata dei giovani (cioè svecchiare il sistema) ma portare l’occupazione dal 56,3% al 70% nel più rapido tempo possibile. Non si crea questo effetto scambiando un anziano con un giovane, ma inserendo un giovane in più!
All’estero, questa formula fa riferimento all’uscita graduale dei lavoratori dal lavoro e come inserimento “dolce” alla pensione. In Germania (cito uno studio dell’IRES-CGIL) riguarda oltre 4 milioni di lavoratori. A 56 anni puoi decidere se lavorare il 50% in meno e prendere il 50% in meno dello stipendio, ma l’azienda per quel 50% del tempo ti deve sostituire con un disoccupato (ma non sempre). Meccanismo simile è presente in Spagna ma solo dai 62 anni (su questo dato chiedo il beneficio del dubbio perché non so se la riforma delle pensioni abbia modificato questo aspetto). La Francia ha sperimentato un meccanismo simile ma è stato un flop a causa della mancanza di un finanziamento pubblico di supporto di sgravi per l’azienda.
In Italia non credo che funzionerebbe. Vedo difficile che persone con un reddito di 1.800 € netto accetterebbero – a 60 anni – di percepire 900 € al mese per avere il 50% del tempo libero in più!
Inoltre, temo che in Italia, soprattutto nel Sud, si possano verificare situazioni “irrituali” di utilizzo della normativa.
Ad esempio, che si verifichi uno scambio “nominale” per l’assunzione. Cioè che all’accettazione del part-time di Papà Mario presso l’azienda ABC Srl segua l’entrata del figlio di Papà Mario (Giulio) nella stessa azienda. Questo garantirebbe un aumento delle entrate per la famiglia (½ stipendio di Papà Mario e l’intero stipendio di Giulio) ma di piccola entità se consideriamo i livelli contrattuali molto diversi tra i due (diciamo un +20%/25% del reddito famigliare complessivo), ma un aggravio per il bilancio dello stato che contribuirebbe a questa operazione. Questa soluzione che potrebbe piacere ad alcuni a me non piace perché riguarderebbe una parte “selezionata” della popolazione e non sarebbe equamente ripartita nelle possibilità di accesso. In altre parole, sarebbe solo per alcuni e non per tutti, ad esempio per i figli dei disoccupati!
Oppure che Mario accetti formalmente il passaggio a part time per poi continuare a prendere una parte “in nero”, visto che lo stato contribuisce al pagamento dei suoi contributi. In pratica, Mario prende un netto di 1.800 €, con un costo per l’azienda di 3.700 €. Si mette d’accordo per prendere 900 con il part time e 900 in nero, con un costo complessivo per l’azienda di 2.600 €, con un risparmio annuale di circa 13.500 € per l’azienda (quasi tutto onere per lo stato).
Sento parlare di un costo di 500 milioni di € per un totale di 50.000 giovani interessati da questo fenomeno (La7 ieri sera, credo). Il calcolo mi sembra molto ottimistico perché secondo me sarà difficile che ci siano 50.000 adesioni e trovo il costo complessivo troppo basso. Ma se così fosse, direi che 10.000 € a giovane sia una cifra che potrebbe essere spesa molto meglio, per esempio distribuendoli come voucher formativi per alta formazione (con 10.000 € ci paghi un master di quelli seri) oppure come sgravi per l’ingresso in azienda (alzando l’età dell’apprendistato) o riducendo il cuneo fiscale.
In ultimo, non mi piace proprio il messaggio che viene mandato al paese: prima abbiamo detto che l’età lavorativa va innalzata e adesso diciamo di ridurre l’attività lavorativa nell’ultimo periodo di carriera. Inoltre, stiamo dicendo che il lavoro si trova “sostituendo” chi lavora. Invece dobbiamo investire su chi crea nuovi posti di lavoro!