Una Startup Company è una impresa appena costituita. La sua principale caratteristica è di avere poche e ben definite caratteristiche, tanta energia e – per chi ci investe – un basso rischio di impresa, perché il capitale iniziale è di solito basso. Le Startup Company sono le aziende con il maggiore potenziale di assunzione per giovani e professionisti ad alto livello di conoscenza ed innovazione.
La formula per avere successo e sopravvivere ai primi tre difficilissimi anni, per una Startup Company è semplice:
[Buona idea] + [Investimento Iniziale] + [Competenze Manageriali] + [Competenze Commerciali] = Successo
In giro, vedo che le buone idee che giustificherebbero la nascita di una azienda non mancano. Non scarseggiano neppure le competenze Manageriali e Commerciali (anche se molto spesso Imprenditori e Manager sopravvalutano la loro capacità gestionale e la loro competenza), ma è difficilissimo trovare una persona che abbia al contempo una buona idea e le competenze necessarie per svilupparla. Invece, gli incubatori di imprese (ce ne sono molti in Italia) utilizzano il denaro pubblico per aiutare buone idee a diventare imprese fornendo qualche competenza manageriale e commerciale a chi possiede una buona idea.
Secondo me, la formula migliore per produrre aziende di successo non è quella di investire su una idea, quanto – piuttosto – sviluppare network che integrino le diverse esigenze. Infatti, mentre le buone idee si hanno solo prima dei 35 anni, si diventa un bravo manager solo oltre i 45 anni. Di conseguenza, puntare su uno o sull’altro profilo rende comunque il risultato imperfetto.
Il supporto allo sviluppo del network è quello che manca nel nostro Paese. Le buone idee non dialogano con la buona managerialità ed entrambi non comunicano con coloro che vogliono investire. Una grande debolezza del nostro paese è l’atrofia del Private Equity, ossia l’investimento di capitale a rischio (venture capital) tramite l’acquisto di quote del capitale sociale. In altri paesi (USA primo tra tutti), i fondi più importanti sono anche i più attenti alla tematica delle Startup Company tramite il Private Equity. Il fondo pensione del Texas – il maggiore tra i dieci fondi pubblici americani – ha investito 30 dei 114 miliardi di dollari di dotazione in Private Equity.
I seed capital sono i capitali di investimento per la nascita e sviluppi di una Startup Company. Tra le forme più interessanti di Private Equity c’è l’Angel Investor.
Solitamente sono ex imprenditori o manager in pensione che uniscono le loro competenze professionali alla scelta di investire una parte del loro patrimonio in una buona idea imprenditoriale.
Poi, terminata la fase di sviluppo iniziale l’Angel Investor esce dall’azienda cedendo le sue quote, spesso ad un importo prefissato inizialmente (coerente con i risultati raggiunti) e ad alta redditività.
Questa formula in Italia è del tutto sconosciuta, tranne in questi ultimi mesi in cui sto ascoltando su Radio24 la pubblicità di un fondo che propone una attività simile.
La mia personale proposta è quella di sperimentare una forma semi-pubblica di Angel Investor. In cui ex-dirigenti a 5-6 anni dalla pensione (provenienti, ad esempio, da aziende in difficoltà) possano scegliere di destinare una quota del capitale accumulato per la pensione e del TFR a una operazione di Private Equity su aziende pre-selezionate da una agenzia statale a sua volta disponibile –tramite finanziamento pubblico – a raddoppiare il capitale investito dal manager.
I tre diversi investitori, in questo modo sono co-responsabilizzati nello sviluppo della Startup Company. Il giovane portatore dell’idea, il “vecchio” manager (con in più se vogliono il “commerciale”) e il fondo statale di investimento. La presenza dell’investitore pubblico all’interno del capitale sociale garantirebbe il rispetto delle finalità originarie, degli aspetti etici e della normativa sul lavoro.
Idea interessante e da sviluppare. Ho un unico dubbio, da imprenditore e amante del rischio d’impresa e di investimento, posso avanzare il dubbio che l’investimento nel futuro che proponi sarebbe per il 90% statale. No, ti prego, non scuotere la testa: un dirigente di una impresa in difficoltà che viene licenziato o rischia quella fine, a 5 anni dalla pensione, deve usare il TFR in massima parte, a volte nemmeno basta, per pagare l’INPS, peraltro spesso riscuotendo il maturato solo appunto 5 o 6 anni dopo. Perciò, secondo me, dovrebbe intervenire ancora una volta lo Stato, con sgravi, facilitazioni, prestiti a tasso nullo, o quel che credi meglio. Certo, da Investor in Private Equity, ti dico che non mi giocherei mezza pensione per una scommessa. Però ci si può lavorare.