Le opzioni sono quattro: sbagliavamo allora, sbagliamo oggi, abbiamo sbagliato sempre o non abbiamo sbagliato mai. Probabilmente, non lo sapremo, ma parlarne – confrontarci – può aiutarci a capire quale sia la strada giusta da seguire, o almeno, quella ingiusta da evitare.
Il Prof. Luigi De Gennaro l’ho conosciuto ai tempi dell’università. Insegnava nel corso del mio dottorato. Ne ho un ricordo molto positivo, in particolare dello sforzo che sosteneva per educarci alla logica della falsificazione e della metodologia della ricerca sperimentale. Da lui ho imparato. Poi non l’ho più visto. L’ho iniziato a seguire su twitter quando ho visto alcuni suoi post sull’Huffington Post. Lo seguo sempre con grande piacere. Attualmente, è un punto di riferimento per avere informazioni sulla grande battaglia che si combatte a Kobane. Lo ritengo una persona molto intelligente, vale la pena leggere i suoi tweet e spesso mi trovo a condividere le sue opinioni.
Due giorni fa leggo questo scambio di tweet.
A #Kobane e con bestie tagliagole ISIS non c’è alcuna alternativa alle armi …senza perdere un’oncia di Umanità @Kanguronightly @ilu_iciao
— Luigi De Gennaro (@luigidegennar) 26 Giugno 2015
Non mi sarei mai aspettato che il Prof. De Gennaro fosse a favore della violenza. Sono sicuro che ai tempi della guerra in Afganistan da parte degli USA (in seguito all’undici settembre) non lo fosse. Allora ho un dubbio, in totale buona fede, e senza alcuna voglia di fare polemica: “Sbagliamo ora, o sbagliavamo allora?”
Caro Andrea, sbagliavamo 10 anni fa.. A quel tempo l’Inferno non aveva vomitato le bestie ISIS @AndreaLaudadio @Kanguronightly @ilu_iciao — Luigi De Gennaro (@luigidegennar) 26 Giugno 2015
Io non lo so. Non so se invocare le armi perché l’ISIL sia sterminato. Sono cresciuto con la cultura del pacifismo e nella convinzione che dalla guerra non sarebbe mai venuto fuori niente di buono. Ma credo che ormai i tempi siano cambiati.
Ho dentro di me pensieri e idee contrastanti. Mi ricordo il fallimento della missione dell’ONU in Ruanda (la UNAMIR) e come nulla venne fatto per evitare quel genocidio. Mi ricordo il fallimento delle missione ONU in Jugoslavia, conosco il massacro di Srebrenica. Questi ricordi mi fanno pensare che senza la forza, la violenza non si possa fermare. Che esiste un momento in cui la violenza è inevitabile, necessaria, auspicabile.
Dall’altra parte, già mentre scrivo “violenza è inevitabile” penso agli “attacchi preventivi” e all’uso sconsiderato che negli ultimi 6.000 anni abbiamo fatto delle forza. Alla convinzione che dalla violenza uscirà sempre altre violenza.
Sono sempre stato contrario alla violenza, ma oggi questa convinzione è sempre meno forte.
Già, ma sterminare l’ISIL cosa significa? Uccidere i combattenti? Le loro mogli? I loro figli? Abbiamo visto in TV combattenti con poco più di 10 anni. Uccideremo anche loro? Li uccideremo così, sul campo o solo dopo un giusto processo? E chi ha il diritto di giudicarli?
Se ne avessimo il potere e la forza, oggi, interverremmo per salvare il popolo ebraico, i gay e i rom dal genocidio nazista? Interverremmo per salvare il popolo armeno dal genocidio perpetrato dai turchi? Dichiareremmo guerra al Belgio di Leopoldo II per lo sterminio di 10 milioni di congolesi? Fermeremmo lo sterminio ad opera dei Khmer rossi? E cosa avremmo fatto contro l’invasione del Tibet o contro quella bestia di Mao Tse-tung che non sappiamo ancora se ne ha uccisi 20 o 80 milioni di persone?
A chi è nato dopo la seconda guerra mondiale, una spiegazione – se volete ideologica – era stata data. Si nascondeva dietro l’autodeterminazione dei popoli. In pratica, il principio (mai espresso) era questo: “Se ti attaccano sei autorizzato a fare ricorso alla violenza, in altri casi assolutamente no”. Questo il principio dietro all’articolo 11 della nostra costituzione. In pratica: se ti attaccano la resistenza è legittima, ma l’autodeterminazione dei popoli impone che si rispetti la scelta e la storia di ciascuno stato, senza interferire (ufficialmente, perché oggi sapiamo che dietro a questa posizione “occidentale” si nascondevano colpi di stato e interventi di tutt’altra direzione).
Ma questo principio oggi viene meno. Messo alla prova dalla comunicazione globale e dalla difficoltà di identificare con chiarezza il confine definitorio di “ti attaccano”. Se attaccano un alleato, è chiaro che devo intervenire. Ma se attaccano qualcuno che mi assomiglia? Sul quale posso proiettare le mie ansie, speranze e sogni? Con la globalizzazione ha ancora senso “ti attaccano”? Non siamo una unica grande e coesa civiltà?
Durante la guerra nei Balcani, Ligabue, Pelù e Jovanotti composero una canzone: “Il mio nome è mai più”. Sul retro del CD c’era questo testo:
«A pochi mesi dal “giro” di millennio
la nostra cosiddetta società “civile”
conta al proprio interno 51 guerre in corso.
Allo stesso tempo essere contro la guerra
(qualsiasi guerra) sembra voler dire
assumere una posizione politica.
Be’ vogliamo essere liberi di sentirci
oltre qualsiasi posizione del genere
affermando che, per noi, non ci sarà mai
un motivo valido per nessuna guerra.»
(Luciano Lorenzo Piero)
Oggi, non sono più sicuro che “qualsiasi guerra” includa anche quella all’ISIL. Un fatto è certo. Tutti i giorni, leggo i tweet del Prof. De Gennaro e spero che il popolo curdo difenda la città di Kobane e con lei anche la mia libertà.