Sono stato a scuola per circa 5 ore al giorno, per 6 giorni a settimana, per 9 mesi l’anno, per 13 anni. Complessivamente per – più o meno – 12.285 ore. Il 3% di tutta la mia vita. Non credo che questo tempo sia stato speso nel modo migliore possibile. Mi sono annoiato e ho appreso molto poco rispetto al tempo speso.
Diceva Ivan Illich: «Molti studenti, specie se poveri, sanno per istinto che cosa fa per loro la scuola: gli insegna a confondere processo e sostanza. Una volta confusi questi due momenti, acquista validità una nuova logica; quanto maggiore è l’applicazione, tanto migliori sono i risultati; in altre parole, l’escalation porta al successo. In questo modo si «scolarizza» l’allievo a confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa di nuovo. Si «scolarizza» la sua immaginazione ad accettare il servizio al posto del valore.»
Le cose più importanti, quelle che oggi mi consentono di lavorare e vivere, non le ho imparate né a scuola né all’università.
Scuola e università non mi hanno fornito le competenze necessarie per competere nel Mercato del Lavoro. Anche guardando i miei collaboratori, mi accorgo che a fronte dell’impegno che hanno speso nella loro istruzione, le loro competenze distintive le hanno apprese sopratutto in altri contesti.
Guardate il mondo con attenzione, è del tutto evidente che sono le esperienze significative e non la scuola a fornire le competenze “eccellenti” delle persone che conosciamo.
Aver fatto lo scout ti da una marcia in più. Ti insegna che il più lento deve stare all’inizio della fila, così nessuno resta indietro.
Aver fatto immersioni ti insegna a prestare attenzione al tuo compagno e a essere responsabile della sua vita.
Aver giocato a bridge ti insegna che la fortuna non esiste e che il merito della sconfitta o del successo dipende solo da te e dal tuo compagno.
Aver giocato a rugby ti insegna il “terzo tempo” e che finita la partita si smette di essere avversari e si torna amici.
Aver perso il treno di insegna ad alzarti prima per non perderlo più.
Aver fatto il cameriere ti insegna che il lavoro è duro e bisogna farlo responsabilmente.
Aver fatto un trasloco ci ha insegnato a organizzare le cose per non perderle.
La creatività l’abbiamo imparata imitando i comportamenti creativi di un adulto significativo, allo stesso modo abbiamo imparato come far ridere gli altri e a far ridere noi stessi. Gli eventi della vita ci hanno insegnato la resilienza.
Ora, mi chiedo: è più importante che mia figlia sia resiliente o che conosca le guerre puniche? Che sappia organizzarsi per fare un trasloco o che conosca i numeri irrazionali? Ovvio, sarebbe meglio che conoscesse entrambe le cose, ma dovendo scegliere?
Le cose più importanti, nella mia vita, non le ho imparate sui banchi di scuola. Le cose più importanti – nella mia vita – a scuola non sono, forse, neppure mai entrate. Avrei voluto imparare più onestà e coraggio, più altruismo e fantasia e meno la geografia di paesi che oggi non esistono neppure più.
Se mia figlia decidesse di fare l’animatrice in un villaggio per un anno, lasciando l’università non dovrei dispiacermi. Fare l’animatrice insegna a relazionarsi anche con chi non ti è simpatico, a prendersi cura delle persone, a fare il proprio dovere, a prendere sul serio le cose ma con leggerezza, a lavorare in gruppo, a mettere al secondo posto le proprie esigenze, a divertirsi mentre si lavora, a provare e riprovare fino a quando non si riesce, a migliorare le cose che non sono venute bene, ad avere il coraggio di parlare in pubblico, ad avere nostalgia di casa, di mamma e di papà.
La vera competenza per competere in questo mondo è una metacompetenza. Una competenza di competenza: imparare a imparare. Sempre, in ogni circostanza.
Questa cosa a scuola non la insegnano! Il nozionismo scolastico è inutile. La scuola dovrebbe aiutare le persone ad accrescere i propri punti di forza.
Oggi, la scuola considera gli allievi come dei secchi da riempire. La scuola che vorrei dovrebbe invece aiutare le persone a capire cosa sono e in cosa possono eccellere. Sono dei bicchieri di cristallo? Degli scolapasta? Dei colini a maglia finissima? Dei bicchieri di quelli che si possono richiudere e portare nella borsa? Abbiamo bisogno di ognuno di loro, ma riempire uno scolapasta è avvilente per chi lo fa e per il povero scolapasta. Capire in cosa eccelle l’altro e valorizzarlo. Questo si può fare solo trasformando la scuola in un percorso esperienziale che aiuti ciascuno a conoscersi meglio e sviluppare i propri talenti.
Voglio una scuola centrata sui talenti e non sulla sufficienza. Non mi importa cosa non sai fare voglio che tu scopra quello che sai fare bene e impari a farlo ancora meglio.
Vivere è l’unica cosa che insegna veramente a vivere. Non direi di aver vissuto quel 3% della mia vita che ho passato chiuso in una classe ad annoiarmi.
Cambiare la scuola per cambiare il mondo. In meglio.
Ho letto questo blog perche’ mi e` stato segnalato da un’amica che lavora nella scuola. L’amica ne era colpita negativamente. Il metodo con cui il blog e` scritto mi sembra molto sbagliato. L’autore prende in considerazione esperienze personali (non dati). Non le analizza con nessun rigore ed invece ne estrae impressioni espresse in prosa. Alla fine ne estrae conclusioni universali e direttive per come bisognerebbe funzionare la scuola in Italia (o forse nel mondo). Se questo e` il gioco, allora io ho imparato moltissimo prima dalla scuola e poi dall’universita`. Sono felice per ogni ora che ho passato a studiare per la scuola o per l’universita` invece di giocare a bridge o fare traslochi (un privilegio quest’ultimo, lo riconosco). [Adesso insegno in un’universita` estera.]
Gentile Laudadio, mi sembra che nel suo post Lei confonda due ordini di cose che non sono affatto incompatibili tra loro, ma che sono anche necessariamente diverse. Ci sono, come Lei dice, le esperienze significative, dalle quali tutti impariamo (e guai se non fosse così), e grazie alle quali ciò che impariamo ci serve o per ripetere meglio queste stesse esperienze o per estendere l’apprendimento ricevuto anche ad esperienze diverse (così, grosso modo, funziona quella che Lei chiama la ‘metacompetenza’).
Ora, dall’altra parte, c’è la scuola. E ammettiamo pure che essa sia nozionistica come Lei sostiene (ma diciamo anche che tale non è). Anche apprendere determinate nozioni è un’esperienza. L’intersecarsi e il sovrapporsi delle nozioni produce ulteriori esperienze, e consente alla mente di elaborare giudizi sempre più complessi e precisi. Ciò, però, solo a condizione che ci si sottoponga (umilmente) alla fatica di far lavorare la memoria e di apprendere dei metodi mediante i quali far interagire dati e regole in vista della soluzione di un problema. Quanto esattamente avviene nello studio della matematica, del latino, delle letterature, della storia, ecc. Perché, sa, non si vive di soli traslochi, e diventare simpatici e responsabili è senz’altro necessario, ma poi nelle nostre vite professionali dobbiamo anche scrivere delle leggi, programmare dei software per le torri di controllo degli aeroporti, operare al cervello delle persone, calcolare, discutere, ragionare e argomentare correttamente su soluzioni a problemi complessi, fare esperimenti scientifici, decifrare papiri, e, nelle nostre vite personali, capire veramente la profondità di un pensiero filosofico, leggere un’opera d’arte ecc. Tutto ciò non può essere riassunto nella comoda e vaga formula dell’ “imparare ad imparare” (peraltro recepita con bovina acquiescienza dalla scuola, altro che resilienza). Perché l’apprendimento (e anche la scoperta e la costruzione di un talento) si esercitano primariamente su oggetti e problemi indipendenti ed esterni all’apprendimento stesso. Che l’apprendimento diventi oggetto dell’apprendimento (come pretende lo slogan “imparare ad imparare”) è un fenomeno collaterale all’apprendimento di qualcosa. Ebbene, quel qualcosa dev’essere qualcosa di specifico, su cui la mente si eserciti e si sviluppi, e deve essere sufficientemente complesso, ricco, e importante, da indurre la mente (e l’animo) a percorrere i passaggi successivi. Ciò comporta fatica e, a volte, scoramento, perché è nella natura delle cose che l’ampliarsi, l’aprirsi, il divenire complessi si compiano con sforzo, soprattutto all’inizio. Questo è quel tipo di esperienza che la scuola offre meglio, più intensamente e più continuamente di altre esperienze pur piacevoli e illuminanti ma episodiche, che non possiamo programmare e che ci capiteranno comunque. La scuola non può insegnare tutto, altrimenti rischia di non insegnare nulla. Perché “l’imparare ad imparare” non diventi una trappola autoreferenziale di specchi che si riflettono all’infinito senza rimandare altra immagine che la propria, la scuola deve insegnare delle cose, magari meglio, con metodi più appropriati, con più competenza e passione. Ma non denigriamo la necessità di un’esperienza che si è costituita pazientemente nel tempo e che interventi come il Suo sembrano voler liquidare con troppa leggerezza, senza la garanzia di saper costruire alternative altrettanto valide e intelligenti.
Completamente d’accordo con Andrea Laudadio, è questa la strada da seguire.
La nostra mente non è un secchio da riempire | MASSIMO MINNETTI
[…] in suo post che trovo estremamente illuminante: “Le competenze per competere” qui […]