4 Comments

  1. Andrea Montanari

    Ho letto questo blog perche’ mi e` stato segnalato da un’amica che lavora nella scuola. L’amica ne era colpita negativamente. Il metodo con cui il blog e` scritto mi sembra molto sbagliato. L’autore prende in considerazione esperienze personali (non dati). Non le analizza con nessun rigore ed invece ne estrae impressioni espresse in prosa. Alla fine ne estrae conclusioni universali e direttive per come bisognerebbe funzionare la scuola in Italia (o forse nel mondo). Se questo e` il gioco, allora io ho imparato moltissimo prima dalla scuola e poi dall’universita`. Sono felice per ogni ora che ho passato a studiare per la scuola o per l’universita` invece di giocare a bridge o fare traslochi (un privilegio quest’ultimo, lo riconosco). [Adesso insegno in un’universita` estera.]

  2. agostino longo

    Gentile Laudadio, mi sembra che nel suo post Lei confonda due ordini di cose che non sono affatto incompatibili tra loro, ma che sono anche necessariamente diverse. Ci sono, come Lei dice, le esperienze significative, dalle quali tutti impariamo (e guai se non fosse così), e grazie alle quali ciò che impariamo ci serve o per ripetere meglio queste stesse esperienze o per estendere l’apprendimento ricevuto anche ad esperienze diverse (così, grosso modo, funziona quella che Lei chiama la ‘metacompetenza’).
    Ora, dall’altra parte, c’è la scuola. E ammettiamo pure che essa sia nozionistica come Lei sostiene (ma diciamo anche che tale non è). Anche apprendere determinate nozioni è un’esperienza. L’intersecarsi e il sovrapporsi delle nozioni produce ulteriori esperienze, e consente alla mente di elaborare giudizi sempre più complessi e precisi. Ciò, però, solo a condizione che ci si sottoponga (umilmente) alla fatica di far lavorare la memoria e di apprendere dei metodi mediante i quali far interagire dati e regole in vista della soluzione di un problema. Quanto esattamente avviene nello studio della matematica, del latino, delle letterature, della storia, ecc. Perché, sa, non si vive di soli traslochi, e diventare simpatici e responsabili è senz’altro necessario, ma poi nelle nostre vite professionali dobbiamo anche scrivere delle leggi, programmare dei software per le torri di controllo degli aeroporti, operare al cervello delle persone, calcolare, discutere, ragionare e argomentare correttamente su soluzioni a problemi complessi, fare esperimenti scientifici, decifrare papiri, e, nelle nostre vite personali, capire veramente la profondità di un pensiero filosofico, leggere un’opera d’arte ecc. Tutto ciò non può essere riassunto nella comoda e vaga formula dell’ “imparare ad imparare” (peraltro recepita con bovina acquiescienza dalla scuola, altro che resilienza). Perché l’apprendimento (e anche la scoperta e la costruzione di un talento) si esercitano primariamente su oggetti e problemi indipendenti ed esterni all’apprendimento stesso. Che l’apprendimento diventi oggetto dell’apprendimento (come pretende lo slogan “imparare ad imparare”) è un fenomeno collaterale all’apprendimento di qualcosa. Ebbene, quel qualcosa dev’essere qualcosa di specifico, su cui la mente si eserciti e si sviluppi, e deve essere sufficientemente complesso, ricco, e importante, da indurre la mente (e l’animo) a percorrere i passaggi successivi. Ciò comporta fatica e, a volte, scoramento, perché è nella natura delle cose che l’ampliarsi, l’aprirsi, il divenire complessi si compiano con sforzo, soprattutto all’inizio. Questo è quel tipo di esperienza che la scuola offre meglio, più intensamente e più continuamente di altre esperienze pur piacevoli e illuminanti ma episodiche, che non possiamo programmare e che ci capiteranno comunque. La scuola non può insegnare tutto, altrimenti rischia di non insegnare nulla. Perché “l’imparare ad imparare” non diventi una trappola autoreferenziale di specchi che si riflettono all’infinito senza rimandare altra immagine che la propria, la scuola deve insegnare delle cose, magari meglio, con metodi più appropriati, con più competenza e passione. Ma non denigriamo la necessità di un’esperienza che si è costituita pazientemente nel tempo e che interventi come il Suo sembrano voler liquidare con troppa leggerezza, senza la garanzia di saper costruire alternative altrettanto valide e intelligenti.

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